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Barbatelle di Cortese

Barbatelle di Cortese

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Il “Cortese bianco” non ha sinonimi (se si trascura il nome dialettale di “Courteisa” o “Courteis”). Il primo autore che nomina questo vitigno è il conte Nuvolone nel 1799, nella sua memoria sulla coltivazione della vite e sul modo migliore di fare i vini (in Piemonte). Fra le uve bianche egli cita il “Corteis” che “dà grappoli alquanto lunghetti, acini piuttosto grossi, quando l’uva è matura diviene gialla, ed è buona da mangiare e si conserva”. In ordine cronologico segue il noto “Catalogo” del marchese Incisa (1852) nel quale si legge: “Cortese dell’Astigiano. – Grappoli guarniti di acini rotondi, bianchi ambrati, abbrustoliti dalla parte opposta al sole. Degna di servire d’ornamento in tavola, e utile per i vini da bottiglia, Moscato, Malvasia, ecc.”. Terza viene la bella monografia di Demaria e Leardi (1875), sulla quale ritorneremo. Oltre alla breve descrizione del Pulliat (loc. cit.), possiamo ricordare che anche il Mendola lo citò nel suo pregevole “Catalogo” (1868), avendolo avuto dall’Incisa. Nell’attuale secolo lo troviamo ricordato nella grande “Ampélographie” di Viala e Vermorel, dove però è solo riportata in sintesi la succitata descrizione del Pulliat. Infine, esso figura nel 2° volume delle “Uve da vino” del Marzotto, nel quale tuttavia è solo rimasta la monografia di Demaria e Leardi, facendo però notare che secondo questi autori la foglia ha la pagina inferiore leggermente pelosa, mentre il Pulliat parla di un “duvet pileux”. è pure brevemente descritto dal Cavazza nel suo trattato di viticoltura, fra i cento più importanti vitigni italiani. Stupisce invece di non vederlo neppure nominato nell'”Ampelografia” del Molon, il cui autore aveva pure così diligentemente compulsate tutte le opere del secolo scorso in cui erano più o meno illustrati tutti i vitigni coltivati in Italia.

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